L’anticristo nel quadro di Raffaello

L’anticristo nel quadro di Raffaello viene magistralmente rappresentato con le stesse sembianze di Cristo con dietro Satana che gli suggerisce cosa dire. Infatti, la più insidiosa delle tentazioni all’uomo viene perpetrata dal diavolo quando questi si presenta con le vesti di colui che vuole combattere cioè Cristo. In questo caso il diavolo conoscendo bene quanto la maggior parte degli uomini per pigrizia si ferma solo alle apparenze omettendo di approfondire ogni cosa, si presenta con le sembianze di Cristo e contando sul fatto che non venga riconosciuto come il supremo impostore, parla loro di verità proferendo menzogne.    
 
Satana si presenta anche sotto il colore del bene.di Padre Piero Gheddo

L’Anticristo ha persuaso l’uomo che potrà essere felice solo quando soddisferà liberamente i propri istinti, eliminando il concetto del bene e del male. Il peccato, si sa, pesa, e l’idea di liberarsene una volta per tutte, oggi più che mai, è diventata una vera smania. L’Avversario nel secolo scorso ci convinse che Dio è morto, per poi eliminare milioni di esseri umani. Oggi ci ha intruppati in una nuova ideologia per annullare la natura stessa dell’uomo. Oggi l’Anticristo è diventato il Referente imprescindibile di tutti i governi occidentali.
L’Anticristo ha persuaso l’uomo che potrà essere felice solo quando soddisferà liberamente i propri istinti, eliminando il concetto del bene e del male. Il peccato, si sa, pesa, e l’idea di liberarsene una volta per tutte, oggi più che mai, è diventata una vera smania. L’Avversario nel secolo scorso ci convinse che Dio è morto, per poi eliminare milioni di esseri umani. Oggi ci ha intruppati in una nuova ideologia per annullare la natura stessa dell’uomo. Oggi l’Anticristo è diventato il Referente imprescindibile di tutti i governi occidentali.

L’Anticristo è il Demonio e tutte le forze del male che si oppongono alla venuta del Regno di Dio e di Cristo negli ultimi giorni, ma anche nella storia dell’uomo (Apocalisse, I e II Lettera di Giovanni, II Lettera di Paolo ai Tessalonicesi). Ma è anche il titolo del libro di Friedrich Nietzsche (1844-1900), che un laico cattolico, Agostino Nobile, ha commentato nel volumetto pubblicato nel luglio 2014: Anticristo superstar(Edizioni Segno, Udine – pagg. 120). Agostino Nobile, sposato e padre di due figli, professore di storia della musica, 25 anni fa decise di lasciare l’insegnamento per studiare le culture non cristiane ed è vissuto per dieci anni nel mondo musulmano, indù e buddista, esperienza che ha rafforzato la sua fede cattolica. Nobile vive oggi in Portogallo con la sua famiglia, si dedica agli studi per approfondire la sua fede e ha lavorato fino ad un anno fa come pianista e cantante.

Ecco le battute di partenza di Anticristo superstar: «Quando anni fa mi capitò di leggere L’Anticristo di Friedrich Nietzsche, pensai di trovarmi di trovarmi di fronte ad un insano di mente. Oggi l’Anticristo è diventato il referente imprescindibile di tutti i governi occidentali. Se a Friedrich Nietzsche avessero detto che in poco più di cent’anni il suo “Anticristo” sarebbe stato una superstar, l’avrebbe considerata una ridicola provocazione» (il libro di Nietzsche è del 1888). E continua: «L’Anticristo ha persuaso l’uomo che potrà essere felice solo quando soddisferà liberamente i propri istinti, eliminando il concetto del bene e del male, il concetto del bene e del peccato. Il peccato, si sa, pesa, e l’idea di liberarsene una volta per tutte, oggi più che mai è diventata una vera smania. Nel secolo scorso l’Anticristo ci convinse che “Dio è morto”, per poi eliminare milioni di esseri umani (attraverso le ideologie ispirate a questa convinzione). Oggi ci ha intruppati in una nuova ideologia, per annullare la natura stessa dell’uomo. Nel suo piano muta i metodi, ma il fine è sempre lo stesso: dimostrare a Dio che la sua creatura prediletta è l’essere più idiota del creato».

L’anticristo oggi ci ha intruppati in una nuova ideologia per annullare la natura stessa dell’uomo. Oggi l’Anticristo è diventato il Referente imprescindibile di tutti i governi occidentali.

Il pamphlet di Nobile, di poche pagine ma denso di fatti e di idee e facile da leggere, è tutto un esame storico e attuale di come l’idea centrale di Nietzsche e le altre espressioni seguenti si stanno realizzando. La convinzione basilare di Nietzsche è questa: «Io definisco il cristianesimo l’unica grande maledizione, unica grande intima perversione, unico grande istinto di vendetta, per il quale nessun mezzo è abbastanza velenoso, occulto, sotterraneo, piccino. Io lo definisco: l’unico imperituro marchio di abominio dell’umanità». Agostino Nobile affronta l’Anticristo a mo’ di botta e risposta. Ha estratto dal volume del filosofo tedesco le molte proposte e previsioni che riguardano la «Guerra mortale contro il vizio e il vizio è il cristianesimo» e con una carrellata storica di duemila anni dimostra con riferimenti storici e attuali, come questi sogni di Nietzsche si sono gradualmente realizzati e ancor oggi si stanno realizzando, con l’educazione dei minori, la cultura dominante, i costumi e le leggi che riportano i popoli cristiani a ridiventare pagani. Il capitolo più provocatorio per noi, uomini d’oggi, è quello finale col titolo Anticristo superstar (che è quello del libro divulgativo), dove Agostino Nobile dimostra che nel nostro tempo la «guerra mortale contro il cristianesimo» è giunta quasi al termine, poiché i sogni di Nietzsche stanno influenzando e orientando i governi dei Paesi cristiani (cioè occidentali) e l’Onu con i suoi organismi.

Ecco un solo esempio di questa corrente della cultura e della legislazione che si sta imponendo nel nostro tempo. Noi anziani o persone di mezza età non ce ne accorgiamo, ma la massima autorità mondiale della Sanità vuol imporre ai bambini delle scuole aberrazioni di questo tipo. L’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha diffuso a tutti i governi europei un vademecum per promuovere nelle scuole corsi di sessuologia: “Standard dell’Educazione Sessuale in Europa” (consultabile su Internet), dove tra l’altro si legge: «ai bimbi da 0 a 4 anni gli educatori dovranno trasmettere informazioni sulla masturbazione infantile precoce e scoperta del corpo e dei genitali, mettendoli in grado di esprimere i propri bisogni e desideri, ad esempio nel gioco del “dottore”… Dai 4 ai 6 anni i bambini dovranno essere istruiti sull’amore e le relazioni con persone dello stesso sesso… Con i bambini dai 6 ai 12 anni i maestri terranno lezioni sui cambiamenti del corpo, mestruazione ed eiaculazione, facendo conoscere i diversi metodi contraccettivi. Nella fascia puberale tra i 12 e i 15 anni gli adolescenti dovranno acquisire familiarità col concetto di “pianificazione familiare” e conoscere il difficile impatto della maternità in giovane età, con la consapevolezza di un’assistenza in caso di gravidanze indesiderate e la relativa presa di decisione».

Leggendo questo documento dell’Onu, che suscita sgomento e paura, mi vengono in mente i molti testi di Giovanni Paolo II e di Papa Benedetto su questo tema: «La questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica» (Caritas in Veritate, 75), in questo senso: nel secolo scorso il “problema sociale” più grave era l’equa distribuzione della ricchezza e del benessere fra ricchi e poveri; oggi il maggior “problema sociale” è la distruzione della famiglia naturale e il pansessualismo che riducono rapidamente la popolazione mondiale promuovendo l’aborto, il matrimonio fra persone dello stesso sesso, l’eutanasia e l’eugenetica e tante altre aberrazioni, fino alla clonazione di esseri umani, oggi tecnicamente possibile e già sperimentata. Benedetto XVI scrive (Caritas in Veritate, 75): «Non si possono minimizzare gli scenari inquietanti per il futuro dell’uomo e i nuovi potenti strumenti che la “cultura della morte” ha messo nelle mani dell’uomo. Alla diffusa, tragica piaga dell’aborto si potrebbe aggiungere in futuro, che è già abusivamente in atto, una sistematica pianificazione eugenetica delle nascite».

Si giungerebbe così alla meta finale di quanto Nietzsche sognava: «Un mondo abitato e dominato da superuomini che hanno imposto la loro volontà di potenza agli uomini inferiori, mediocri e comuni», per cui era necessario «stabilire i valori della società e dello Stato in favore dell’individuo più forte, del Superuomo (l’uomo eletto, geniale, l’artista creatore che vince l’uomo medio) e della superiorità di razza e di cultura» (Enciclopedia cattolica, Città del Vaticano 1952). Non meraviglia che Nietzsche, messosi al servizio del nazionalismo tedesco, abbia profondamente influenzato il nazismo e la sua nefasta ideologia! Ma è ancora più scandaloso che il nostro Occidente, con profonde radici cristiane, che si ritiene libero, laico, democratico, istruito, evoluto, popolare, sia incamminato, senza forse averne coscienza, sulla stessa via che conduce al nichilismo, alla distruzione della natura umana e alla morte. Come popolo, abbiamo tolto il Sole di Dio dal nostro orizzonte umano, vogliamo fare a meno di Dio e di Gesù Cristo e non abbiamo più nessuna luce di speranza nel nostro futuro.

Benedetto Spadaro

Hans Holbein il giovane: Gli ambasciatori

Brevi cenni storici sull’artista

Figlio d’arte, Hans Holbein il giovane nacque da Hans Holbein Il Vecchio (1465 – 1524). Studiò alla bottega di suo nonno e suo padre come il fratello maggiore Ambrosius Holbein (1493/94 – 1519). Dal padre restò influenzato soprattutto per la caratteristica della narrazione precisa.

La sua vita e le sue opere vanno collocate sullo sfondo dell’umanesimo e di un’Europa scossa dalla riforma luterana (la riforma protestante ha una data di inizio ufficiale, che coincide con la pubblicazione delle 95 tesi da parte di Martin Lutero, affisse, secondo il resoconto di Filippo Melantone sulla porta della Cattedrale di Wittenberg, mercoledì 31 ottobre 1517[1]).

Nel 1526 riparò a Londra per sottrarsi alla Riforma Luterana, accompagnato da credenziali offertegli da Erasmo e Thomas More. Eseguì il progetto per un arco di trionfo per l’ingresso a Londra di Anna Bolena e dipinse Gli Ambasciatori nel 1533.

Nel 1536, nominato pittore personale di Enrico VIII, divenne in breve il ritrattista ufficiale della corte inglese. Ritrattista che sapeva cogliere, dietro l’apparenza, le espressioni più personali e significative dei suoi personaggi sino a descriverne le caratteristiche spirituali e morali, cercando di coniugare la tradizione gotica con le nuove tendenze umanistiche, e le influenze lombarde con quelle fiamminghe.[2]

Nei suoi ultimi anni, Holbein lavorò a Londra e a Basilea. Stava lavorando ad un altro ritratto di Enrico VIII quando morì di malattia del sudore, il 7 ottobre 1543 a Londra.

 

Commento sull’opera “Gli ambasciatori del 1543”

Il capolavoro di Holbain è un quadro di grandi dimensioni che ritrae, a grandezza naturale,  due giovani ed importanti personaggi della sua epoca (un ambasciatore e un vescovo) all’apice della loro bellezza e della loro carriera, in un ricco interno della sua epoca, con sullo sfondo una tenda verde, appena scostata sulla sinistra, dietro alla quale, si intravede appena un piccolo crocifisso. Nel quadro, al centro è dipinto un comò aperto sotto, dove sono adagiati: nella parte superiore, i più moderni e costosi strumenti dell’epoca per misurare il tempo e gli astri e nella parte inferiore, strumenti di intrattenimento per produrre melodie e musica.

Nel quadro che vuole rappresentare  quanto sia vana ogni cosa in questo mondo, come recita il versetto bibblico del libro dell’ecclesiaste: “Vanità delle vanità tutto è vanità” è dipinto, al centro, in basso, un teschio che si può vedere solo guardando il quadro da sinistra. Il teschio  vuole ricordare a chi guarda il quadro, la fine che inevitabilmente faranno tutte le persone e le cose in esso contenute, infatti  i due protagonisti che possiedono tutto ciò che si può desiderare: giovinezza, bellezza, importanza legata al loro ruolo nella società, oggetti preziosi e stimolanti per soddisfare la loro curiosità scientifica e il loro desiderio di bellezza e di armonia, finiranno inevitabilmente in polvere e cenere, come avviene di tutto ciò che è corruttibile. Solo la verità dell’amore di Dio per l’uomo, rappresentata dal piccolo crocifisso seminascosto nell’angolo sinistro del quadro, è destinata a rimanere in eterno e a sopravvivere a tutto il resto dandoci la possibilità, se lo vogliamo, di un’eternità felice insieme a Dio nostro Padre.

Che ne dite, Holbein con il suo capolavoro ci da una bella lezione, invitandoci a considerare che, tutto ciò a cui siamo attaccati e persino noi stessi, diventeranno, inevitabilmente polvere e cenere, perchè su tutto prevarrà la morte e la corruzione. Quello che invece rimarrà in eterno è l’amore di Dio,  a cui spesso diamo una minima importanza, rappresentato nel quadro come un dettaglio insignificante.

E’ un chiaro invito a guardare ciò che è nascosto perchè, il più delle volte, è proprio lì che si scoprono le cose più preziose.

Benedetto Spadaro

Perchè Dio non ride nel quadro di EL Greco “Il battesimo di Cristo”

Siamo in Spagna, a Toledo, nel periodo tardo rinascimentale ed ecco che lo straordinario pittore spagnolo El Greco facente perte della corrente pittorica del manierismo, dipinge un quadro bellissimo: Il battesimo di Cristo.

L’articolo continua dopo una breve spiegazione del rinascimento tratta da Wikipedia

il Rinascimento è un periodo artistico e culturale della storia d’Europa, che si sviluppò a Firenze tra la fine del Medioevo e l’inizio dell’età moderna, in un arco di tempo che va all’incirca dalla metà del XIV secolo fino al XVI secolo[1], con ampie differenze tra discipline e aree geografiche.[2]

Il Rinascimento, vissuto dalla maggior parte dei suoi protagonisti come un’età di cambiamento, maturò un nuovo modo di concepire il mondo e se stessi, sviluppando le idee dell’umanesimo, nato in ambito letterario nel XIV secolo per il rinato interesse degli studi classici, ad opera soprattutto di Francesco Petrarca[3], e portandolo a influenzare per la prima volta anche le arti figurative e la mentalità corrente.

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La Città ideale del Rinascimento, che esprime, interpretando l’omonimo paradigma, l’idea di perfezione della classicità “moderna” [4].

Nel quadro, dove è rappresentato il battesimo di Gesù Cristo da parte di Giovanni Battista, tutti hanno un’aria festosa e stupita, nella parte alta del quadro, al centro è dipinta l’immagine di Dio Padre seduto che guarda una palla di vetro che ha sulle gambe, che simboleggia allegoricamente il fatto che Egli conosce il futuro e non sorride come gli altri, perchè sa già che, per la malvagità degli uomini, suo figlio verrà torturato e crocifisso.

Mi viene da pensare che, anche oggi Dio Padre osservando quello che fanno gli uomini non ride, perchè vede che, il più delle volte, la loro vita è, per lo più  dominata dal peccato e anche quando essi sono gioiosi come gli spettatori di un derby in cui ha vinto la squadra per cui facevano il tifo, le motivazioni della loro gioia sono banali e superficiali e niente hanno a che fare con la giustizia e la verità.

Benedetto Spadaro

L’arte un raggio di eternità nella dimensione spazio temporale

L’arte è la ricerca della bellezza, a sua volta la bellezza non è altro che lo spendore della vera essenza di noi stessi, che è l’eternità, quindi  l’arte non è altro che un raggio di eternità che si introduce nella dimensione spazio temporale nella quale è costretto a vivere il nostro spirito eterno.

Infatti, è sopratutto nell’arte che notiamo come i capolavori e i loro autori non risentano del passare del tempo; anzi i primi acquistano valore e i secondi fama imperitura, proprio con il passare dello stesso.

Concludendo l’arte è il nostro passaporto per varcare i limiti del tempo e dello spazio per proiettarci nell’eternità.

Benedetto Spadaro

Saper vedere il sole anche quando ci sono le nuvole

Quale è la cosa che dà può dare ad ognuno di noi una marcia in più? E’ l’immaginazione: pensate ad una giornata uggiosa quando il cielo non promette nulla di buono e il nostro umore si adegua alla situazione spegnendoci ogni speranza ed entusiasmo,  facendoci vedere tutto peggio di come in effetti è, allora  ci prefiguriamo scenari da catastrofe; ebbene, è allora che l’immaginazione e la speranza salvano la situazione facendoci vedere, come presente, anche ciò che non si vede, ad esempio il sole, che non è affatto scomparso ma è solo coperto dalle nubi.

Lo stesso vale per la nostra felicità quando viene meno, essa c’è ancora, ma siccome è legata a cose materiali, non riusciamo più a vederla, perchè quelle cose a cui l’abbiamo legata sono momentaneamente scomparse, esattamente come il sole dietro le nubi. Ebbene in queste occasioni l’immaginazione può veramente salvarci,  facendoci vedere ,oltre quello che ci propinano i nostri occhi, che la felicità non è scomparsa ma è appena dietro le nubi dei nostri cattivi pensieri.

Benedetto Spadaro

Il Dadaismo e i tempi moderni, la guerra delle armi e quella delle idee

Nel mondo si combattono due tipi di guerre: quelle con le armi e quelle con le idee, le prime sono cruente e stupide ed hanno conseguenze disastrose, le seconde sono incruente e si giocano sui giudizi della nostra intelligenza e provocano un confronto fra idee opposte che non può non giovare alla ricerca di verità,  di cui ognuno di noi sente il bisogno.

La considerazione appena fatta è stata stimolata nella mia mente da un interessantissimo  documentario presentato su rai 5 canale 23 dal titolo “Lo spirito del dadaismo”  attraverso il quale ho riscoperto il significato e l’attualità di questo straordinario movimento artistico culturale nato essenzialmente come reazione culturale e pacifica alla prima guerra mondiale (la grande guerra del 15 /18) che distrusse la vita di una generazione di giovani,  molti dei quali perirono a causa della guerra.

Premetto che non sono stato, per mia natura, mai incline ad idee anarchiche e antisistema come quelle che sono espresse nella cultura e nell’arte dal Dadaismo, che fino ad oggi avevo considerato con una connotazione interessante ma negativa,  ciò nonostante dopo la visione del suddetto documentario ho fatto la seguente considerazione:

Qualunque ordine stabilito dagli uomini non importa che sia di carattere politico, filosofico, artistico, religioso o di altra natura è fallimentare se non riesce ad impedire una catastrofe mondiale come la prima guerra mondiale. In fondo lo spirito del Dadaismo contro tutto e tutti  non era altro che una protesta totale contro l’ipocrisia e la menzogna che alberga in ogni costruzione umana.

A questo punto mi sento di trarre, da quanto detto, una conclusione ovvia ed è la seguente: anzicchè sprecare energie e combattere nascosti dietro sigle varie, partiti, religioni, associazioni facciamoci cercatori di verità e denunciatori di menzogne, con cuore semplice, al di là di ogni pregiudizio.

I Dadaisti, a modo loro, esagerando, in fondo, ci hanno lasciato questo importante messaggio.

Benedetto Spadaro

Il Mistero dell’Essere cap. XVII “Peccato e pentimento di Davide

Voglio pubblicare il XVII capitolo del mio libro ” Il mistero dell’Essere”.

Chi fosse interessato può acquistare  l’intera opera al costo di euro 3,50 in formato e elettronico seguendo le indicazioni presenti sulla home page di questo sito.

Buona lettura

                                                cap. XVII “Peccato e pentimento di davide” (sam. 12,1) 
Signore mandò il profeta Natan a Davide e Natan andò da lui e gli disse: “Vi erano due uomini nella stessa città, uno ricco e l’altro povero. Il ricco aveva bestiame minuto e grosso in gran numero; ma il povero non aveva nulla, se non una sola pecorella piccina che egli aveva comprata e allevata; essa gli era cresciuta in casa insieme con i figli, mangiando il pane di lui, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno; era per lui come una figlia. Un ospite di passaggio arrivò dall’uomo ricco e questi, risparmiando di prendere dal suo bestiame minuto e grosso, per preparare una vivanda al viaggiatore che era capitato da lui portò via la pecora di quell’uomo povero e ne preparò una vivanda per l’ospite venuto da lui”. Allora l’ira di Davide si scatenò contro quell’uomo e disse a Natan: “Per la vita del Signore, chi ha fatto questo merita la morte. Pagherà quattro volte il valore della pecora, per aver fatto una tal cosa e non aver avuto pietà”. Allora Natan disse a Davide: “Quell’uomo sei tu! Così dice il Signore, Dio D’Israele: Io ti ho unto re d’Israele e ti ho liberato dalle mani di Saul, ti ho dato la casa del tuo padrone e ti ho messo fra le braccia le donne del tuo padrone, ti ho dato la casa d’Israele e di Giuda e se questo fosse stato troppo poco vi avrei aggiunto anche dell’altro. Perché dunque hai disprezzato la parola del Signore facendo ciò che è male ai suoi occhi? Tu hai colpito di spada Uria L’Ittita, hai preso in moglie la moglie sua e lo hai ucciso con la spada degli Ammoniti. Ebbene la spada non si allontanerà mai dalla tua casa, perché tu mi hai disprezzato e hai preso in moglie la moglie di Uria l’Ittita. Così dice il Signore: “Ecco io sto per suscitare contro di te la sventura della tua stessa casa; prenderò le tue mogli sotto i tuoi occhi per darle a un tuo parente stretto che si unirà a loro alla luce di questo sole; poiché tu l’hai fatto in segreto, ma io farò questo davanti a tutto Israele e alla luce del sole”. Allora Davide disse a Natan: “Ho peccato contro il Signore! ”. Natan rispose a Davide:”Il Signore ha perdonato il tuo peccato; tu non morrai. Tuttavia, poiché in questa cosa tu hai insultato il Signore (l’insulto sia sui suoi nemici), il figlio che ti è nato dovrà morire”. Natan tornò a casa sua.
                                                                                  commento
La storia del popolo d’Israele è giunta in quella fase in cui Dio finalmente adempie le promesse fatte ai patriarchi dei quali il popolo d’Israele è la discendenza, designando il più grande dei loro re in Davide, valoroso guerriero e grande re, il quale guida il popolo ebreo di vittoria in vittoria alla conquista della terra promessa dove scorre latte e miele. Vi chiederete senz’altro: “Come è possibile che un uomo così grande e valoroso come re Davide possa essersi macchiato di un peccato tanto grave come quello di commettere adulterio con Betsabea moglie di Uria L’ Hittita, uno dei suoi più valorosi soldati e come se non bastasse, di mandare lo stesso incontro a morte sicura esponendolo in prima fila in battaglia per nascondere il suo peccato?” Eppure Davide nonostante il gravissimo peccato commesso rimane un grande uomo nonché uno splendido esempio di re. Vi chiederete ancora: “Si può essere grandi quando si è commesso un peccato come quello di Davide, che solo a sentirlo raccontare, invoca una giustizia pronta e spietata per la sua stessa gravità secondo il giudizio pronunciato dallo stesso?” Provo a rispondervi con un si e la risposta è giustificata da quella stupenda ammissione che Davide fa, allorché il profeta Natan gli rivela che quell’uomo contro il quale egli aveva emesso un giudizio di morte dicendo: ”Per la vita del Signore chi ha fatto questo merita la morte”, è lui stesso. Re Davide non ha cercato scuse, come probabilmente avremmo fatto noi dicendo che magari la colpa era di Betsabea che ci aveva indotti a peccare facendo il bagno nuda in giardino, ma ha ammesso la sua colpa in maniera assoluta senza cercare di giustificarla con quella degli altri. “Quell’uomo sei tu”. Sono queste le parole che Dio stesso ci dirà allorché nel giudizio finale ci chiederà conto di tutte le volte che abbiamo giudicato il nostro prossimo molto più severamente di quanto abbiamo giudicato noi stessi. Ci dirà anche: “Quell’uomo che tu hai giudicato e che avresti voluto uccidere tanto lo ritenevi ingiusto, ebbene quell’uomo sei tu: Cristo ci dice nei vangeli:
“Con lo stesso giudizio con cui hai giudicato gli altri sarai giudicato”.
E San Paolo nelle sue lettere:
“O uomo non ti accorgi che giudicando gli altri condanni te stesso?”
Il Mistero che ci ha originati rivelandosi a noi è stato chiarissimo su questo punto, assicurandoci che il giudizio finale a cui dovremo sottostare alla fine della nostra esistenza terrena, sarà costituito dai nostri stessi giudizi espressi nei confronti del nostro prossimo nel corso della della nostra vita, in situazioni analoghe a quelle a cui dovremo rispondere nel giudizio finale. Quindi l’uomo per salvarsi e rendersi così degno di entrare in comunione di vita eterna con il suo Creatore, ha due possibilità: • La prima consiste nel non commettere mai peccato e giudicare severamente gli altri. • La seconda consiste nel peccare ma al tempo stesso nell’essere capace di perdonare i peccati degli altri, cosciente del fatto che, perdonando gli altri, non fa altro che perdonare se stesso.
Premesso quindi che la prima possibilità non è realizzabile, in quanto tutti gli uomini anche i più grandi come Davide, almeno una volta nella vita peccano gravemente, non rimane che la seconda. Ma alla seconda possibilità si accede dopo la presa di coscienza che rende grande l’uomo e lo fa crescere, da quel poter dire consapevolmente:
“Ho peccato contro il Signore”.
La grandezza di Davide è salva nel momento in cui egli, pronunciando questa frase, ammette la sua colpa senza preamboli o inutili scuse ma in maniera assoluta. La grandezza dell’essere è tutta qui: nella coscienza di peccare continuamente contro quell’Amore che lo ha chiamato ad esistere e che lo avvolge passo dopo passo in tutta la sua esistenza, nella coscienza di essere incapace di ricambiare adeguatamente un amore così grande. Coscienza questa che porta l’essere a mendicare, oltre al resto, anche la capacità di amare per poter corrispondere almeno in parte ad un amore così grande, nella coscienza che tutto, anche la capacità di amare proviene dalla sua Origine. Costruire al contrario la propria vita giudicando gli altri, prima di avere severamente giudicato se stessi allontana da quell’amore

perché chiude l’essere entro i suoi limiti, anziché aprirlo alla grandezza di Dio. Il motivo di questo allontanarsi è semplice, finché non si abbandona la propria misura nel valutare tutte le situazioni Dio non ci può far partecipe della sua. Perdonare significa in fondo rimettere tutto ad una giustizia più grande, nella consapevolezza che da quella giustizia abbiamo anche noi molto da farci perdonare, che saremo perdonati solo se a nostra volta sapremo perdonare e che quindi perdonando gli altri facciamo anche e sopratutto i nostri interessi. A questo punto preciso che perdonare non significa astenersi dal giudicare il bene e il male che avviene intorno a noi, anzi bisogna sempre avere chiaro il limite del perdono e della carità che dobbiamo usare verso il nostro prossimo, ebbene questo limite è la verità stessa che non può essere annullata da quell’amore e da quel perdono che essa stessa ci comanda. Di conseguenza, perdono e carità dovranno essere offerti nella verità della circostanza stessa che li provoca e non secondo un nostro personale concetto di amore e di perdono ma nella stessa maniera in cui il Cristo ci insegna ad amare e a perdonare. In altri termini il perdono, perché possa rimettere in moto il rapporto affettivo con la persona a cui viene offerto, deve passare attraverso l’ammissione della colpa da parte di chi l’ha commessa in quanto il perdono non può annullare quella verità di cui è parte. Nel caso manchi questa ammissione, il perdono si traduce in chi lo offre in uno stato d’attesa e di disponibilità che consente al soggetto in colpa di rendersi conto del male fatto. L’ammissione della colpa potrà anche essere sollecitata tramite una richiesta di chiarimento da parte di chi vuol perdonare. Del resto, se le cose non stessero così come intendono alcuni, anche Dio potrebbe benissimo perdonarci tutte le colpe senza mai giudicarci. Egli invece, ci perdona non perché intende far venire meno la giustizia, ma unicamente per offrirci la possibilità di amare anche dopo il peccato, ciò che avremmo dovuto amare prima di peccare. Il perdono di Dio quindi, è strumentale alla nostra crescita nella verità e proprio per questo ha due limiti inderogabili: • che non può essere un perdono che che neghi la verità stessa. • che coincide con la morte fisica dell’essere.
Anche il nostro perdono quindi, non dovrà avere il carattere di una mera rinuncia a controbattere il male (che anzi in questo caso potrebbe trattarsi di vigliaccheria travestita da perdono) ma avrà unicamente lo scopo di offrire a coloro che perdoniamo, quella stessa possibilità che Dio dà a ciascuno di noi perdonandoci. Ma Dio non ci perdona prima che ci siamo pentiti, ed abbiamo ammesso la nostre colpe; anche se riamane sempre in attesa della nostra sincera richiesta di perdono. Chi ha capito veramente cosa significa perdonare sa che il perdono lungi dal produrre atteggiamenti passivi, come purtroppo accade quando viene inteso male, produce nell’essere una intensa attività che va dalla preghiera a Dio, perché faccia ravvedere l’offensore, allo sprigionarsi della sua intelligenza e creatività nel creare azioni efficaci ed incidenti tali da portare il soggetto che ha offeso ad una sincera ammissione della sua colpa, più che nei suoi confronti, nei confronti del principio che lo ha originato, come fece Davide dicendo: “Ho peccato contro il Signore”. Senza contare, che l’autentico perdono degli altri passa anche attraverso il perdono di se stessi, dei propri limiti e delle proprie grettezze, perché chi non è capace di perdonare se stesso a maggior ragione non può essere capace di perdonare gli altri. Accettare il proprio essere nella verità dei suoi limiti e delle sue colpe, significa capire i limiti e le colpe degli altri ed essere capaci di perdono gratuito e vero. Un altro punto mi sembra opportuno chiarire, quello della morte del figlio di Davide. Qualcuno certamente si sarà scandalizzato, leggendo alla fine il testo biblico riportato che il figlio di Davide dovrà morire a causa del peccato del padre, come in effetti avviene. Ma perché scandalizzarsi di un mistero di cui l’uomo è parte, invece di cercare di capirlo? Se il creatore ha stabilito che fra le sue creature ci fosse una solidarietà nel male è perché la stessa solidarietà c’è anche anche nel bene. Se ha stabilito che il male dei padri ricada sui figli, come in effetti è stato da sempre ed è ancora oggi, perché inorridiamo? Certamente per cercare di sfuggire ad una buona parte della responsabilità legata al nostro essere. Non sappiamo forse che non è mai servito a nulla cercare scuse o negare l’evidenza, ma invece è necessario assumersi interamente la propria responsabilità e fare quello che va fatto, per evitare non soltanto a noi ma anche ai nostri figli che dipendono da noi grossi guai? In fondo a ben pensarci, Dio ci ha tanto resi simili a se da far dipendere i nostri figli in gran parte da noi, allo stesso modo in cui noi dipendiamo in tutto da Lui. In altri termini ci ha resi creatori, anche se indiretti, di nuove vite facendoci sperimentare cosa significa generare un essere simile a noi dipendente, almeno all’inizio, in tutto da noi al punto che possiamo anche sopprimerlo, come del resto anche la legge scandalosamente ci consente non condannando l’aborto, proprio per renderci più chiaro il nostro rapporto con Lui. Di conseguenza, Dio rende la nostra soggettività misteriosamente partecipe del suo stesso potere di creare. Come non vedere in tutto questo un immenso amore del Creatore per le sue creature? Se poi questo potere datoci per amore (lo stesso che Davide esercitava su un intero popolo) noi lo usiamo per uccidere o per far del male perché ci scandalizziamo di Dio e non di noi stessi quando subiamo le terribili conseguenze del nostro operato? Forse ci scandalizzeremmo di chi, avendoci dato generosamente una forte somma, si trovasse poi a dover constatare che con quella somma abbiamo compratola droga per noi e per i nostri amici, anziché spenderla in maniera costruttiva ed utile? Chi avrebbe il coraggio di dire che il male di avere qualche drogato in più sia stato causato dal quel gesto di generosità che comunque ha consentito il fatto, piuttosto che dalla stoltezza di coloro che erano stati beneficati? Se non arriviamo a questa conclusione, è perché abbiamo imboccato quella brutta strada che ci porta a dire che la colpa è sempre di qualcun altro e mai nostra, non rendendoci conto che questo equivale alla rinuncia della nostra soggettività. Ma se ci reputiamo solo degli oggetti nelle mani di cose più grandi di noi perché ci lamentiamo borbottando contro Dio e contro gli uomini, assumendo così all’improvviso una capacità di giudizio che implica quella soggettività a cui, in altra occasione, abbiamo rinunciato? Vogliamo dunque alternarci nel ruolo di soggetti o di oggetti a seconda di ciò che ci risulta più comodo. Di certo è proprio così, e se siamo giunti a tanto la “colpa” è unicamente di Chi ci ha elevati ad una dignità che non meritavamo e ci ha amati di un amore di cui non eravamo degni.
Ma che volete farci, l’amore è quella forza misteriosa che fa accadere le cose più strane come quella di far salire Dio sulla croce riducendo l’Onnipotenza alla più assoluta impotenza e come consente a noi di perderci molte volte dietro falsi dei, consente a Dio di perdersi dietro la sua creatura fino a dare la vita per salvarla e fa si che egli ami anche chi non meriterebbe di essere amato. Siamo dunque ad immagine e somiglianza di Dio anche in questo perderci in amori che ci fanno molto soffrire senza darci nulla in cambio, infatti cosa potremmo sperare di dare noi a Dio che Egli non possieda già. Ma mentre il “perdersi” di Dio è per noi fonte di vita, il nostro perderci dietro falsi dei è per noi e per i nostri figlisolo fonte di morte.

Il tempo lo spazio e l’eternità (parte terza)

La percezione che passato, presente e futuro siano in qualche modo presenti contemporaneamente nella nostra realtà umana perchè, in quanto esseri immortali, almeno per quel che riguarda lo spirito, facciamo già parte della dimensione dell’eternità dove tutto è presente, è  un pensiero che da qualche tempo fa capolino nella mia mente.

Infatti,  come potrebbero spiegarsi altrimenti  fenomeni come i sogni le premonizioni o i ricordi che riusciamo a rievocare perfettamente solo che rimaniamo concentrati su di essi.

Del resto da un punto di vista strettamente scientifico  dopo Einstein e le sue due teorie sulla relatività, dove il tempo viene concepito come entità variabile del cosmo, sia  in relazione all’osservatore che osserva gli eventi, sia in relazione alla velocità a cui lo stesso viaggia, si è ormai giunti alla conclusione che siano  possibili viaggi nel tempo e che sia solo questione di aspettare il tempo necessario a sviluppare la tecnologia necessaria per poterli effettuare.

Anche da un punto di vista religioso, c’è da dire che i vangeli parlano dell’esistenza del futuro già nel presente attraverso Gesù che predicendo a Pietro che poche ore dopo lo avrebbe rinnegato ben tre volte e che una volta ravvedutosi gli avrebbe reso testimonianza fino a dare la vita con il martirio avvenuto in Roma.

Quindi ciò significa che, per noi credenti, non è affatto una novità che il futuro già esista e che seppur eccezionalmente, ci sia concessa la possibilità di conoscerlo.

Ma allora c’è da dire: ” se il futuro già esiste e non possiamo cambiarlo perchè ci affanniamo tanto come se dipendesse da noi?

Quanto asserito non è forse la prova che attualmente l’unico impedimento ai viaggi nel tempo è il nostro corpo mortale e che quando un giorno ci saremo liberati da esso, con la nostra morte fisica, il nostro spirito immortale  sarà proiettato nella dimensione dell’eternità, dove  le dimensioni temporale e spaziale non avranno più senso perchè tutto è presente. Tutto ciò viene magistralmente rappresentato cinematograficamente nel film  di Christofher NolanInterstellar ” allorquando il protagonista entra con la sua astronave nel buco nero dove scopre che al suo interno sono presenti contemporaneamente  il suo passato, il suo presente e il suo futuro ?

Benedetto Spadaro

L’esternalizzazione delle colpe

Una delle cose che vanno molto di moda nella moderna civiltà è l’esternalizzazione delle colpe dalla propria soggettività. Infatti è  comune l’abitudine a lamentarsi dicendo che la colpa, quando le cose vanno male,  è sempre di qualcun altro,  senza porsi il problema se c’è una parte di colpa che è anche nostra.

Questo puntare il dito sugli altri e mai su noi stessi  provoca una situazione di stallo, nel senso che ci sentiamo appagati nella comune lamentela senza fare nulla per cambiare veramente le cose e sopratutto per cambiare noi stessi, che è la cosa che sta, più  di tutto il resto, alla nostra portata e che potrebbe migliorare di molto la situazione.

In pratica sprechiamo le nostre preziose energie in un piangersi addosso lementandosi degli altri, anzichè impiegarle molto più profiquamente cercando in noi delle possibili evoluzioni e cambiamenti che possano migliorare oggettivamente la situazione.

Vi assicuro che questo è un errore fatale, che fa si che la nostra vita, non solo non si evolva in meglio, ma  diventi  triste impotente.  Invece se ci pensiamo bene e ci abituiamo a condividere le colpe di tutto il male che accade, senza cadere nell’eccesso opposto, esagerando con i sensi di colpa, facilmente scopriamo che possiamo fare anche noi qualcosa per migliorare la situazione senza aspettare che  la facciano gli altri per primi.

Come diceva il Mahatma Gandhi: “Cominciamo noi ad essere il mondo che vorremmo” rendendoci finalmente conto che esternalizzare le colpe ci rende sterili, invece condividerle nella giusta misura ci  rende propositivi e provoca un nostro miglioramento.

Benedetto Spadaro